In questi ultimi anni è notevolmente aumentato l’interesse per l’orientamento scolastico e di conseguenza la ricerca, da parte di insegnanti e consulenti, di spunti metodologici e materiali di lavoro. ll mondo della scuola è dunque affannosamente alla ricerca di nuovi metodi di fare orientamento. Le tradizionali modalità basate su test standardizzati e anonimi che non lasciavano spazio allo sviluppo della consapevolezza e alla relazione individualizzata hanno infatti da tempo dimostrato i loro limiti. Nè maggiore successo hanno avuto altri approcci attraverso i quali, troppo spesso, si è corso il rischio di “psicanalizzare“ i ragazzi, con disappunto degli stessi e delle loro famiglie.
A questo proposito il coaching rappresenta senza dubbio uno strumento innovativo, oserei dire quasi sconosciuto al mondo scolastico. Ciò rappresenta naturalmente il suo punto di forza, anche se, al tempo stesso, implica la difficoltà di farne recepire il valore e le potenzialità.
Il primo passo è quindi proprio quello di illustrare la metodologia al referente per l’orientamento (ormai presente in tutte le scuole) e far sì che possa essere “sfruttata” nel migliore dei modi. Affinché ciò avvenga è importante inserire il coaching in un percorso più ampio che possiamo definire un processo di educazione al “decision making”. La fine della scuola secondaria di secondo grado, del resto, coincide con un’età cruciale per poter acquisire e rafforzare le abilità di pensare e decidere. Un utilizzo appropriato di questo strumento, dunque, non solo può aiutare i ragazzi nella scelta della facoltà universitaria, ma può contribuire a sviluppare le abilità di pensare e decidere, nonché quelle capacità critiche che saranno loro utili anche in future situazioni di “dilemma decisionale”.
E’ quanto mai importante, quindi, che il percorso di orientamento non sia “calato dall’alto”, avulso dalle attività scolastiche. Per questa ragione sarebbe auspicabile, oserei dire indispensabile, far precedere alle sessioni individuali degli incontri in classe. Due incontri di due ore ciascuno possono essere sufficienti, anche perché difficilmente viene concesso di più.
Nel corso di questi incontri si potrebbero svolgere, ad esempio, attività che permettano ai ragazzi di riflettere su alcuni fattori che spesso condizionano, a nostra insaputa, le scelte. Mi riferisco alle euristiche della disponibilità, dell’ancoraggio, della rappresentatività.
Nel corso del debriefing è poi importante evidenziare il collegamento con la loro esperienza. L’euristica della disponibilità, ad esempio, può far sì che la loro scelta sia condizionata dai casi di successo o insuccesso professionale delle persone a loro vicine, mentre l’euristica della rappresentatività può far emergere il concetto di stereotipo e la conseguenze tendenza all’autoconferma. Attraverso tali riflessioni i ragazzi avranno modo di iniziare quel lavoro di consapevolezza che proseguirà poi nelle sessioni.
Tali incontri, del resto, sono importanti per un primo contatto con gli studenti. Si tratta di una fase quanto mai delicata. I ragazzi, infatti, da un lato vogliono essere autonomi nelle loro decisioni e sono pertanto scettici e sospettosi, dall’altro quanto mai desiderosi di trovare qualcuno che li aiuti a “dipanare la matassa della scelta”. Il primo incontro quindi sarà fondamentale per conquistarne la fiducia, far comprendere che si è lì per loro in totale assenza di giudizio e valutazione.
Se questa fase viene svolta in modo appropriato chiederanno sicuramente di poter seguire il percorso di coaching. Anche in questo caso saranno le circostanze e i tempi a stabilire il numero degli incontri che naturalmente va concordato all’inizio.
Ciò che emergerà dalle sessioni sarà, con molta probabilità, il timore di sbagliare, la difficoltà di conciliare attitudini ed interessi con le opportunità lavorative, il condizionamento diretto o indiretto dei familiari.
Per concludere un consiglio a chi decide di proporre un progetto di coaching per l’orientamento: fare attenzione ai tempi. Le scuole sono sempre più impegnate in attività di vario genere e questo porta spesso i docenti a lamentare la carenza di tempo per la didattica. Cercate quindi di progettare un percorso che non “rubi” troppo tempo. A questo proposito in alcune scuole il percorso viene proposto già a partire dal 4° anno, proprio per evitare di impegnare ulteriormente i ragazzi dell’ultimo anno già alle prese con l’esame di maturità.
Rosalba Silverio
Insegnante e ACC Coach
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