Secondo molte recenti ricerche (fonte ICF) il numero di business coach è aumentato in tutto il mondo del 60% dal 2007.
Negli ultimi anni interventi di coaching sono sempre più richiesti non solo per potenziare le prestazioni manageriali, ma anche per sostenere manager promossi a nuovo ruolo, per affiancare team funzionali e cross-funzionali o per sviluppare risorse High-Potential e sempre con risultati e benefici molto positivi.
Il coaching però non è una panacea. Ci sono manager che possono essere “non-coachable”, rappresentando per il coach professionista una sfida a volte anche frustrante e per l’azienda un investimento improduttivo.
Nel decidere di intraprendere interventi di coaching è quindi strategico chiedersi:
Il manager è pronto a ricevere coaching?
Il coaching è lo strumento più adeguato?
Quali attività facilitano l’ingaggio verso un percorso di coaching?

L’esperienza di un coach professionista può essere un aiuto prezioso nel trovare risposte a tali quesiti. E’ possibile infatti individuare alcune tipologie di manager che non sono immediatamente disponibili a questo approccio. Vediamo alcune di quelle che si presentano con più frequenza: il manager “impermeabile” ai feedback e al cambiamento e il manager “super impegnato” (nel prossimo articolo).

[headline tag=”h2″]Il manager “impermeabile” ai feedback e al cambiamento [/headline]

È molto spesso il tipo di manager che la funzione HR insieme al Responsabile diretto propongono per il coaching riponendovi grandi speranze. Parliamo del manager che di fronte a scarsi risultati oppure riscontri non positivi da colleghi, collaboratori, ecc. trova cause e scuse al di fuori di lui, evitando di prendere in considerazione le sue responsabilità. Spesso mostra poca propensione all’ascolto e una certa dose di autoreferenzialità. La parola chiave in questo caso è scarsa autoconsapevolezza. Prima di iniziare il coaching è necessario renderlo consapevole del modo in cui i suoi comportamenti vengono recepiti dagli altri e dell’impatto che hanno.

In alcuni casi sarebbe sufficiente che ricevesse un feedback chiaro e diretto dal suo responsabile, in quanto è facile ignorare osservazioni discordanti con la visione di sé quando sono inserite all’interno di una valutazione delle prestazioni o menzionate brevemente in una conversazione più ampia. Può sembrare una soluzione scontata, ma condurre conversazioni di feedback è un’attività spesso evitata molto abilmente dai responsabili diretti, poiché considerata una situazione scomoda. Paradossalmente in alcune situazioni, potrebbe essere più efficace supportare il responsabile diretto nel condurre un colloquio di feedback costruttivo con il manager e nel definire un piano di monitoraggio dei progressi.
In tutti gli altri casi è consigliabile far precedere il coaching con la restituzione di un feedback a 360 gradi, così da mostrargli come viene percepito dal contesto professionale.
Il primo impegno del coach sarà aiutarlo a vedere ciò che vedono gli altri e quali sono le conseguenze, chiedergli come intende porsi rispetto alla situazione in cui si trova. Con una certa frequenza questa tipologia di manager si dilunga in affermazioni o descrizioni su ciò che dipende da altri o su ciò che è fuori dal suo controllo o non può influenzare, mentre sono assenti affermazioni o riflessioni rispetto a ciò che dipende da lui o su ciò che può influenzare. Quindi rimandare al manager questo schema osservato può innescare nuove consapevolezze e aprirlo al cambiamento.
Oltre a ciò, è spesso determinante stimolarlo ad individuare quali saranno per lui i benefici di un lavoro sui propri comportamenti.
Vale la pena per te impegnarti in un cambiamento? Finché la risposta a questa domanda non sarà affermativa il manager non si ingaggerà nel mettere in discussione il suo punto di vista e il coaching sarà inutile.
Sulla base della mia esperienza, posso affermare che stimolare il manager in una riflessione di elaborazione e comprensione del feedback è risolutiva nell’individuare un obiettivo di coaching motivante che abbia effetti positivi nel contesto professionale.
È importante però che il coach supporti la riflessione con il manager evitando messaggi e atteggiamenti giudicanti o accusatori, bensì usando in particolar modo i comportamenti delle competenze coaching della Fiducia (comprende e rispetta il concetto di sé del coachee), della Presenza (offre valutazioni o pareri e invita il cliente a scegliere se utilizzare o no i contributi) e delle Domande Potenti (fa domande che aiutano il coachee a reinquadrare un problema o lo sfida verso una prospettiva diversa).
Infine, è bene ricordare che il coaching funziona se c’è una sincera disponibilità del coachee nel mettersi in gioco, altrimenti il percorso sarà improduttivo, una perdita di tempo e di risorse. Per questo deve essere chiaro sia all’azienda che al manager che il coaching si può interrompere o non iniziare affatto, proprio perché non è una cura miracolosa per tutti.

 

Michela Alunni
Coach PCC-ICF
Director School of Coaching FEDRO

 

 

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