Dopo oltre dieci anni di lavoro come team coach mi sono fermata a riflettere su come questo approccio sia cresciuto e cambiato negli anni.
Se il coaching era agli inizi di difficile comprensione per le aziende, il team coaching rappresentava un vero mistero. La dimensione del team, ovvero l’aggregazione in uno stesso spazio dei partecipanti creava ancor più che nell’approccio individuale una vera confusione con la formazione.
I membri del team approcciavano il coaching con aspettative di “contenuto” e lo strumento veniva spesso confuso con la formazione al team work.
Lo sforzo quindi maggiore era quello comunicativo in sede di start up del progetto per far comprendere agli interessati cosa dovessero o meno aspettarsi dal nuovo approccio.
E nonostante tutto, mi sentivo spesso dire “questo corso è molto interessante” o “la prossima settimana ci vediamo al corso”.
In questo articolo mi ripropongo di dimostrare che, effettivamente, avevano ragione loro e non io che mi ostinavo a ripetere “ma non è un corso…”.
La parola “corso” può essere utilizzata per una serie di significati anche figurativi:
Movimento regolare e continuo, andamento, serie metodica di lezioni o trattazione sistematica di una disciplina.
L’insieme degli allievi di una scuola, anche militare, che seguono determinati insegnamenti,
In passato, sfilata di carrozze parate in gran gala.
“Corso, movimento”, si. A volte in termini gergali noi che ci occupiamo di coaching usiamo la parola flusso, ma anche il corso, come quello del fiume, lento e inarrestabile può funzionare. Il team coaching ha esattamente questa finalità: quella di mettere in moto un movimento attraverso l’interazione mediata dal coach dei membri di un team che, magari, fino a quel momento hanno vissuto le relazioni in modo ripetitivo e automatico e iniziano a rendersi consapevoli di “come” lavorano insieme e non solo di cosa fanno insieme.
E un movimento che una volta iniziato ha, appunto, il suo corso, il team coach non può prevederlo ma solo accompagnarlo. Tutte le consapevolezze, le decisioni che il team prende attengono al team stesso. Ciò che è richiesto al coach è il rigore nell’applicazione del metodo e la flessibilità nel facilitare i membri del team nell’espressione e nella presa di responsabilità.
“Una serie di lezioni”, si. Di lezioni che il team stesso impartisce e apprende. Il team coaching ha a che fare con l’apprendimento, la scoperta, la rilettura delle dinamiche di gruppo e la scelta consapevole di mantenere o modificare specifici comportamenti.
Il coach ancora una volta non insegna, assiste all’apprendimento che il team è in grado di ottenere e lo sostiene con il feedback e la fiducia.
“Insieme di allievi che seguono determinati insegnamenti”, si.
La coesione e l’allineamento che i membri di un team possono raggiungere attraverso il coaching a loro dedicato è elevatissimo. Le relazioni interpersonali ne beneficiano in modo esponenziale e le regole che il team decide di darsi diventano mandatorie proprio perché non imposte dall’esterno ma costruite sui valori del gruppo.
E infine, come negare che la definizione “In passato, sfilata di carrozze parate in gran gala“ non stimoli positivamente la nostra fantasia sapendo che la parola COACH ci arriva proprio dalle carrozze o meglio dalla località in cui venivano costruite. La tentazione è forte. E il fatto che queste carrozza siano “parate in gran gala” mi rimanda a tutti i momenti di celebrazione dei risultati di team a cui in questi dieci anni ho assistito.
CORSO è anche il participio passato del verbo correre. Ecco, qui il parallelismo non funziona più: i cambiamenti di team più efficaci e duraturi a cui ho assistito sono quelli in cui né il gruppo né tantomeno il coach hanno avuto fretta di produrre risultati, anzi si sono concessi il tempo di esplorare, comprendere e scegliere.
Laura Quintarelli, MCC, Executive Coach, Past President ICF Italia 2010
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